KitKat e marketing strategico: un approccio localizzato che ha decretato l’esplosione di un brand in un Paese diverso da quello di origine. KitKat è infatti nato in Inghilterra, ma da decenni spopola nel mercato giapponese, tanto da esservi considerato nativo. Vediamo insieme perché.
KitKat e marketing strategico: una leggenda metropolitana che ha cambiato lo scenario competitivo di un brand.
KitKat è uno snack particolarmente gustoso, reso famoso in Italia negli anni ’80 da uno spot TV ben riuscito, associato ad una ricetta golosa e ad un nome azzeccato. Vi siete mai interrogati su dove vengano prodotte le famose barrette? Noi eravamo onestamente convinti che la risposta fosse il Giappone. Chi è che non ha un amico o un conoscente che, di rientro dal Paese del Sol Levante, non abbia portato con sé variopinte e variegate versioni dei wafer ricoperti al cioccolato più famosi al mondo? Beh è ora di fare debunking, come si direbbe nel giornalismo moderno, e riportarvi alla realtà con una storia che ha dell’incredibile. Sedetevi, fate un break e spezzate con Kit Kat! (E con Packly, è il caso di dire).
Il KitKat non è altro che una tavoletta formata da quattro barrette unite, ma facilmente separabili, composte da tre strati di wafer e uno di crema alla vaniglia, ricoperte di cioccolato. Lo snack è stato lanciato sul mercato nel 1860 da una società inglese di nome Rowntree’s. Inizialmente il prodotto portava la stessa denominazione dell’azienda, ma in un secondo momento (e per fortuna aggiungeremmo noi) è stata modificata in base al nome di alcuni dolcetti inglesi molto in voga in quello stesso periodo, serviti presso il Kit-Cat Club di Londra.
Pare che nelle intenzioni originali il KitKat fosse un prodotto destinato al segmento dei lavoratori. Il formato piccolo e tascabile, nonché il fatto che i wafer si spezzino facilmente e con precisione chirurgica, così da poter essere consumati in due tempi, rendeva questa ghiottoneria lo snack ideale da portare in fabbrica o in ufficio per una pausa rigenerante.
La Rowntree’s (nome che in molti Paesi sarebbe stato poco memorabile e di difficile pronuncia) venne acquisita poi dalla Nestlè alla fine degli anni ’80. Mentre al lancio in Giappone l’attenzione era stata posta sul fatto che il prodotto fosse straniero e quindi in un certo senso “cool”, i responsabili Nestlè si resero conto che i giapponesi tendevano a fidelizzarsi maggiormente ai marchi di casa.
Qui è venuta loro in aiuto una fortunata coincidenza linguistica. La parola KitKat, infatti, somiglia all’espressione giapponese “kitto katsu” che vuol dire letteralmente “puoi farcela”, espressione di ampio uso tra gli studenti giapponesi che sostengono l’esame di ammissione all’università. Questi ultimi cominciarono quindi a scambiarsi le barrette come rituale beneaugurante per il superamento della prova, avvalorando in qualche modo la tesi che si trattasse di una tradizione squisitamente nipponica. Oltretutto la Nestlè ebbe la lungimirante idea di lanciare in Giappone una variante del prodotto aromatizzata alla fragola, proprio nel periodo in cui in una specifica regione del Paese si raccoglievano questi delicati frutti. Tale sinergia, unitamente alla confezione lanciata nella variante rosa, spinse le vendite molto oltre le previsioni.
Da qui il resto è storia. Le varianti di prodotto, modulate sulle singole specialità regionali, si sono moltiplicate a dismisura fino a raggiungere quota 400 tra versioni originali e gusti rimaneggiati. Uno dei più recenti adattamenti, quello al tè matcha, è stato lanciato anche sul mercato italiano, non abbiamo però ancora dati circa il successo di pubblico riscontrato. Tra l’altro è interessante notare come la fama del KitKat potesse essere oscurata potenzialmente dal Kitekat, cibo per gatti dal nome molto simile e prodotto tra l’altro da un competitor, la Mars Incorporated. Così non è stato, proprio grazie al fatto che il marketing della Nestlè ha saputo rinnovarsi, far parlare del brand e lanciare campagne sempre in linea con la moda del momento.
Un esempio? Nel 2010 le confezioni di KitKat in Giappone sono state distribuite e rese disponibili in 20.000 uffici postali. Sulla confezione è stato aggiunto un riquadro su cui scrivere mittente e destinatario, nonché un augurio personalizzato per San Valentino, per una prova scolastica ecc, dando ai consumatori la possibilità di acquistare e spedire lo snack allo stesso momento. Inutile dire che la redemption è stata altissima, corroborando ancora di più la credenza, per quanto falsa, che il Giappone sia la patria del KitKat. Nel settembre 2013, la versione 4.4 del sistema operativo Android di Google è stata denominata KitKat, per proseguire la serie già iniziata sui dolci più famosi. L’utilizzo del marchio, in questo caso, è stato accordato a titolo gratuito. In diverse nazioni sono state commercializzate delle barrette KitKat brandizzate Android, grazie a cui era possibile vincere un Nexus 7 o del credito da spendere sul Play Store. Anche il co-marketing, dunque, svolge un ruolo chiave per mantenere un brand sulla cresta dell’onda.
Perché vi abbiamo raccontato questa storia? Per dimostrarvi che bastano un po’ di inventiva e, come sempre nella vita, qualche fortunata coincidenza per decreatare il successo di un prodotto. Bando alle ciance allora! Se avete già finalizzato un buon naming e un logo efficace, quello che vi manca è il packaging e qui entriamo in scena noi di Packly.
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